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Marco Tamburro

Marco Tamburro

Marco Tamburro è nato a Perugia nel 1974, figlio d’arte . Dopo gli studi all’Istituto d’Arte della città si iscrive al corso di scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Brera. La dimensione culturale di Milano gli consente ben presto di approdare al mondo del teatro e dei set cinematografici e della moda, in cui approfondisce lo studio della fotografia e della scenografia e in cui matura la consapevolezza della sua vera inclinazione artistica: quella verso la pittura. A Milano espone per la prima volta, le sue opere compaiono in gallerie e spazi alternativi del tessuto urbano, legati in primis agli ambienti della moda e del design. A seguito dell’esperienza milanese si trasferisce a Roma, città d’elezione per le sue bellezze e per il clima creativo che la anima, diplomandosi nel 1999 all’Accademia di Belle Arti. L’ambiente culturale della capitale lo eleva ad artista impegnato. Tamburro riflette profondamente sulla vita quotidiana, sulla coazione a ripetere, fino alla spersonalizzazione dell’essere umano che esiste ma non vive, inghiottito in una vorticosa esistenza cittadina frenetica, ma gelida, distaccata, che incessantemente olia un meccanismo alienante e alienato. L’artista gestisce lo spazio della tela con la velocità con cui assorbe e memorizza immagini e contesti visivi, costruendo dapprima architetture fatte di reticoli e linee, per poi destrutturarle con l’inserimento di “flash” e visioni, di personaggi che si muovono in maniera nevrotica e frenetica all’interno di metropoli disorientanti ed alienanti, alla rincorsa di un appagamento impossibile che conduce alla follia o all’autodistruzione. Situazioni sempre al limite, paradossali, e che ci colgono alla sprovvista, dove con un’ironia beffarda e quasi crudele rappresenta un universo distopico dominato dal senso della precarietà, di un equilibrio mentale ed esistenziale sempre in bilico e dove l’identità appare “liquida” e sfuggente. In questo scenario la figura umana occupa solo un ruolo marginale nella sua pittura: è una presenza di contorno, un’ombra, uno spettro consumato dal tempo che insegue senza sosta le traiettorie infinite della città, attraversando lunghe strisce pedonali e salendo in alto a vertiginosi e monumentali grattacieli. L’uomo rimane inevitabilmente schiacciato e alienato da questo magma che è la metropoli odierna, simbolo della forza del potere ostile e aggressivo che lo sovrasta. Tamburro porta in scena il teatro di un’umanità popolata di burattini, in mezzo a essi l’artista si inserisce a margine, impotente come il resto dell’umanità.